Eggs Pop

Eggs pop

 

Realizzare un documentario sulla vita interiore delle uova è un’impresa complessa. Prima di tutto perché le uova non hanno una vita interiore e poi perché, quando ce l'hanno, è difficile che sappiano apprezzarla. Esse sono creature estremamente introverse: secoli di caccia spietata da parte dell'uomo, di cottura alla coque e di frittate, li hanno resi sospettosi e pochi inclini al dialogo, sia interiore che esteriore. Da anni lavoro con un uovo per realizzare GIF horror di ottima fattura; ci conosciamo e apprezziamo, ma ancora non posso dire che siamo amici. Da parte sua, a tenerci distanti, è l'indole naturalmente diffidente e la fragilità intrinseca della sua specie, mentre da parte mia è la malcelata voglia di rompere gli indugi e farne una maionese. 

Ma questa volta non ho avuto scelta: volevo raccontare del disagio interiore di un uovo e del suo viaggio per andare oltre le apparenze, scendere nel profondo del proprio io e raggiungere il principio di ogni cosa che, nel suo caso specifico, penso sia la gallina. Per farlo ho dovuto spronarlo ad abbattere i propri limiti, stuzzicare il suo ego e sbriciolare dell’anfetamina nel suo condimento. Non volevo assolutamente fargli del male, tutto è avvenuto in un ambiente perfettamente controllato - lo scomparto delle uova del mio frigorifero - e ho personalmente provveduto a monitorare la situazione lanciandoci un occhio ogni volta che aprivo lo sportello per uno spuntino. Lo scopo era realizzare un documentario in omaggio agli anni ‘70, un'avventura lisergica in cui il protagonista, grazie all’ausilio di oppiacei, esplora gli angoli più reconditi della propria psiche e ne rimane deluso. 

Ho scoperto che la vita interiore di un uovo è meno complessa di quel che credevo e che se rimescoli nel suo profondo, al massimo ottieni uno zabaione. Mi dispiace dirlo, ma quel poco che ho girato è deludente. A momenti di euforia in cui sognava di essere diventato pollo e di correre libero per prati verdi, alternava momenti di panico in cui il fantasma del padre, un pollo borioso che in maturità riuscì a farsi assumere alla Amadori in qualità di cotoletta alla milanese, lo accusava di essere una nullità. Probabilmente non ha ancora elaborato il lutto per la perdita delle sorelle, sei uova promettenti che in un momento di debolezza ho trasformato in tiramisù. Volevo bene a quelle uova, avevo in mente grandi progetti per loro: pensavo ad un musical che coinvolgesse l’intera famiglia intitolato “Sette uova per sette fratelli”, in cui una confezione di giovani uova veniva rapito dallo scaffale di un supermercato per partecipare alla festa di compleanno di un bambino. Le uova, probabilmente, si sarebbero divertite poco, ma alla fine tutti avrebbero cantato e ballato, in perfetto stile hollywoodiano. Peccato.

 

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